dr. Ettore Pelosi, Medico, specialista Medico Nucleare, Nutrizionista
27 Aprile 2022
Tempo di lettura: 6 minuti
Il digiuno, in particolare quello intermittente, è una pratica antica e consolidata ed è attualmente una tendenza popolare nel mondo del benessere.
Di solito è utilizzato per perdere peso, ma le sue applicazioni più recenti spaziano nel mondo degli sport, sia di endurance che di forza: in questi campi, i potenziali benefici stanno cominciando ad avere i primi riscontri pratici, anche se gli studi sono ancora pochi e su un numero ristretto di sportivi.
Più che una dieta è un pattern alimentare che prende in considerazione il quando decidiamo di mangiare piuttosto che il cosa. Gli esseri umani si sono evoluti con disponibilità di cibo differenti nel tempo e l’abitudine a digiunare, anche per lunghi periodi, era piuttosto comune.
Nel digiuno intermittente, durante le ore di digiuno sono concessi solo acqua, caffè, tè e tisane (tutto non dolcificato).
Nel periodo in cui è consentito alimentarsi, non sono previste limitazioni particolari della dieta. La dieta 100% vegetale è anche in questo caso impeccabile: difficile sbagliare quando si scelgono i cereali integrali, i legumi, gli ortaggi e la frutta di stagione, l’olio extra-vergine d’oliva e la frutta secca.
Le varianti del digiuno intermittente sono numerose e comprendono:
Time restricting feeding: comprende tutte le strategie dietetiche che prevedono l’utilizzo di una finestra di alimentazione giornaliera ristretta nel tempo, tipicamente della durata di 4-8 ore, e conseguentemente un periodo di digiuno giornaliero della durata di 16-20 ore. Il modello più utilizzato è quello denominato 16/8, vale a dire 16 ore senza mangiare e 8 ore in cui distribuire i pasti.
Dieta 5/2: prevede un unico pasto di 500-600 kcal consumato per due giorni consecutivi ogni settimana, seguiti da 5 giorni di alimentazione libera.
Whole day fasting: prevede l’inserimento nell’arco della settimana di periodi di digiuno variabili da 1 a 4 giorni, in alternanza con i giorni rimanenti condotti con una dieta di mantenimento, al fine di ottenere un deficit energetico.
Alternative day fasting: un periodo di digiuno di 24 ore è alternato con un periodo di alimentazione ad libitum di 24 ore.
Ramadan fasting o digiuno intermittente diurno: implica approssimativamente un mese di digiuno totale sia di alimenti che di liquidi, dall’alba al tramonto, mentre dopo il tramonto si può mangiare.
Digiuno intermittente notturno: prevede un periodo di digiuno di 10-12 ore nelle ore notturne. In sostanza si tratta di posticipare la colazione e anticipare la cena.
Naturalmente, solo riducendo l’apporto calorico complessivo (come nella maggior parte delle altre diete), questi metodi possono contribuiscono a ridurre il peso corporeo.
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Allenarsi in condizioni di digiuno determina sempre una significativa perdita di performance: questo dato è da imputare alle minori riserve di glicogeno muscolare ed epatico e conseguentemente a una minor disponibilità di glucosio per la produzione di ATP.
Tuttavia, confrontando tra loro un gruppo di atleti alimentati con dieta normale, con un gruppo in digiuno intermittente e valutando la loro performance dopo un pasto standard osserviamo prestazioni sostanzialmente sovrapponibili, ed un maggior utilizzo delle fonti lipidiche per la produzione energetica nel gruppo digiuno intermittente (aumento dell’ossidazione lipidica).
Questa osservazione di partenza rende molto interessante la scelta del digiuno intermittente negli sport di ultra-endurance, campo sempre più frequentato da professionisti ed amatori di ogni età.
Infatti, la capacità di utilizzare maggiormente i depositi di grasso, rispetto a quelli di glicogeno, permette, teoricamente, ai soggetti che praticano digiuno intermittente di ottenere performance sullo stesso livello degli altri, ma per tempi molto più lunghi.
Questo è dovuto al fatto che il glucosio è una fonte energetica limitata, che si esaurisce in breve tempo: basta pensare che i depositi di glicogeno muscolare ed epatico arrivano complessivamente a circa 500 g, pari a 2.000 kcal (insufficienti per una singola maratona); quelli di grassi, viceversa, variano da circa 10 kg a ben oltre; anche ipotizzando una quantità di 10 kg, la loro trasformazione energetica sarebbe sufficiente a fornire 90.000 kcal, quantità di energia sufficiente allo svolgimento di circa 40 maratone consecutive!
Altro vantaggio importante è che il digiuno intermittente favorisce il miglioramento della composizione corporea, con riduzione della massa grassa e mantenimento della massa magra. Come conseguenza, si ottiene un miglioramento del rapporto peso/potenza (lo dimostrano alcuni lavori recenti su ciclisti di élite e runners di endurance [1, 2]) e riduzione assoluta del peso senza perdita di massa muscolare, con miglioramento delle performance.
Il digiuno intermittente non migliora la forza e può ridurre la capacità di allenarsi; d’altra parte, studi su questo tema mostrano che il digiuno intermittente migliora/velocizza il recupero dopo l’allenamento.
È noto che l’allenamento di forza a digiuno ha il duplice effetto di aumentare il metabolismo basale a riposo e di mantenerlo tale per circa 24 ore, oltre che di creare un milieu favorevole allo sviluppo di massa muscolare grazie alla liberazione di GH (ormone della crescita) e all’attivazione di numerosi enzimi muscolari (in particolare la p70s6k, una proteina implicata nella sintesi proteica, utilizzata proprio come indicatore della crescita muscolare [3]).
Queste osservazioni ne suggeriscono l’utilizzo per tutti i soggetti fisicamente attivi, inclusi i professionisti, soprattutto nella fase di “mantenimento” dell’allenamento, durante la quale il principale obiettivo è la conservazione della massa magra e la riduzione della massa grassa (definizione).
Questo articolo non è un invito a seguire la pratica del digiuno intermittente, ma intende semplicemente esaminare alcuni risultati pubblicati in letteratura scientifica sulla sua applicazione alla pratica sportiva.
In generale, l’effetto collaterale più comune è la fame. Talvolta si possono avere debolezza, cefalea, senso di rallentamento ideo-motorio, effetti che di solito svaniscono più o meno rapidamente nell’arco di alcuni giorni grazie all’adattamento metabolico.
Questa pratica è comunque da evitare o da praticare in collaborazione col medico nutrizionista per:
chi ha o ha avuto disturbi del comportamento alimentare;
ragazzi con età inferiore ai 18 anni;
chi soffre di diabete o problemi di intolleranza glucidica;
chi assume farmaci regolarmente per differenti patologie;
donne in gravidanza e in allattamento;
soggetti sotto-peso, donne con amenorrea o con problemi di fertilità.
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Time-restricted eating effects on performance, immune function, and body composition in elite cyclists: a randomized controlled trial. Moro, T., Tinsley, G., Longo, G., Grigoletto, D., Bianco, A., Ferraris, C., Guglielmetti, M., Veneto, A., Tagliabue, A., Marcolin, G., Paoli, A. J Int Soc Sports Nutr 2020; 17(1), 65.
Four Weeks of 16/8 Time Restrictive Feeding in Endurance Trained Male Runners Decreases Fat Mass, without Affecting Exercise Performance. Tovar, A. P., Richardson, C. E., Keim, N. L., Van Loan, M. D., Davis, B. A., Casazza, G. A. Nutrients 2021, 13(9).
Increased p70s6k phosphorylation during intake of a proteincarbohydrate drink following resistance exercise in the fasted state. Deldicque, L., De Bock, K., Maris, M., Ramaekers, M., Nielens, H., Francaux, M., Hespel, P. Eur J Appl Physiol 2010; 108(4), 791–800.
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Categoria: Alimentazione sportiva